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Quando il perdente (che forse aveva vinto) disse: «Il mio presidente è Bush»

2024-11-04

Autore: Francesco

Molti si chiedono se l’ex presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, si deciderà a fare il suo endorsement a favore di Kamala Harris. Questo è inimmaginabile, poiché Bush ha sempre manifestato il suo disprezzo nei confronti di Donald Trump. Si potrebbe dire che Bush rappresenti un’idea di repubblicanesimo lontana anni luce da quella del tycoon, il quale ha preso il controllo del partito, sostenuto da un ampio schieramento di elettori che spesso vengono considerati "populisti". Questa situazione ha creato una frattura profonda all'interno del Partito Repubblicano, mettendo in discussione le vere fondamenta delle sue ideologie.

Immaginiamo Bush, incredulo e scandalizzato, di fronte a un candidato che metterebbe la figlia del suo ex vicepresidente Dick Cheney davanti a un plotone d’esecuzione soltanto per aver osato dissentire e votato per l’impeachment. Un’immagine che rappresenta come i toni della politica possa essersi drammaticamente inasprita.

Ricordiamo che nel 2001, in occasione del 125° compleanno del Corriere, avemmo l’opportunità di ospitare Al Gore. L'ex vicepresidente di Bill Clinton si trovava a Milano, e c’erano buoni motivi per sentirsi derubato della vittoria del 2000, soprattutto considerando i drammatici eventi delle elezioni successive. La sua affermazione «Il mio presidente è Bush» fu una vera sorpresa, considerando il contesto di scontri elettorali e riconteggi in Florida, dove la differenza di voti era di sole 571 schede.

Questa dichiarazione rappresenta una delle caratteristiche più nobili di una democrazia matura: la capacità di riconoscere la vittoria dell’avversario, accettando la sentenza della Corte Suprema e ponendo fine a polemiche che avrebbero potuto durare all'infinito. Questo momento sembra appartenere a un'altra era, profondamente diversa da quella che ci aspetta nelle prossime ore, dove le divisioni politiche sembrano sempre più accentuate e le possibilità di riconciliazione pressoché nulle.

In un contesto in cui l’integrità democratica è sotto pressione, riflettere su episodi come quello di Gore e Bush diventa cruciale. La storia ci insegna che, in ultima analisi, la democrazia prospera quando c'è rispetto reciproco, anche tra avversari. La domanda è: riusciremo a ritrovare questo spirito nella politica contemporanea?

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