
In mezzo al conflitto: un gesto di pace che sfida la violenza
2025-08-30
Autore: Chiara
In un'epoca di violenza diffusa, il mondo è scosso non solo da conflitti sanguinosi, ma anche da una crescente sensazione che l'oppressione sia diventata la norma nei rapporti sociali. Sembra che la politica parli solo il linguaggio delle armi, e le relazioni internazionali vengano decise da missili e droni. Cresce la polarizzazione, l'aggressività e la rabbia, e la speranza in un mondo governato dal diritto internazionale e dalla diplomazia sembra ormai un ricordo lontano.
Il politologo russo Aleksandr Barishov ha recentemente dichiarato chiaramente che "il diritto internazionale è smantellato; quello che funziona è il diritto della forza". I trattati e le risoluzioni delle Nazioni Unite sembrano impotenti di fronte alla crudele realtà del potere. Ogni giorno, la linea di ciò che è accettabile si sposta, e la distinzione tra combattenti e innocenti sfuma sempre di più. In questo contesto oscuro, arriva un raggio di speranza da Gerusalemme.
Un gesto di coraggio e una sfida alla guerra
Il patriarca latino Pierbattista Pizzaballa e il patriarca greco ortodosso Teofilo hanno scelto di non abbandonare Gaza, nonostante le minacce di occupazione da parte di Israele. Con questa decisione, i due patriarchi lanciano un messaggio potente: restare dove la vita è ferita, non per alimentare il conflitto, ma per mantenere viva una presenza pacifica.
Restare, in un momento in cui sembra che tutti spingano per fuggire, rappresenta un atto di grande valore, politico e umano. I loro gesti ci ricordano che la vita non può essere ridotta alla logica della guerra. C’è sempre un'altra possibilità. Mettersi in mezzo non significa rimanere neutrali o non scegliere, ma rifiutare il ciclo della violenza. Significa affermare che, al di là di colpe e ragioni, c'è una verità universale: la dignità di ogni vita.
Il potere della scelta: costruire ponti anziché muri
L’appello interreligioso lanciato recentemente alle istituzioni e ai cittadini italiani ci richiama a favorire iniziative di incontro. Questo approccio non è una fuga dalla realtà, ma l’unica alternativa realistica al disastro. La forza può vincere sul breve termine, ma non costruisce mai una pace duratura. Solo il riconoscimento dell’altro e delle sue ragioni può aprire le porte a un futuro migliore.
La logica del "mettersi in mezzo" suggerisce un percorso concreto: invece di alimentare odio, possiamo creare luoghi di incontro, ricostruire fiducia e imparare a vedere il valore della vita altrui. Se la violenza ci conduce alla chiusura e al rancore, la scelta di interporci ci riporta a questo terreno comune, fragile ma reale.
Siamo in un'epoca di violenza, e ogni gesto contro la logica della forza deve essere valorizzato. La decisione dei due patriarchi è un segno di speranza, un esempio di quello che i cristiani possono realizzare insieme. In un mondo lacerato, è possibile trovare un modo diverso di affrontare il conflitto.