
Tragico destino di Andrea Di Nino: la morte in carcere sotto sospetto di omicidio
2025-04-04
Autore: Maria
La storia di Andrea Di Nino, un romano di 36 anni morto il 21 maggio 2018 nel carcere Mammagialla di Viterbo, si tinge di mistero e tristezza. I familiari di Andrea sono sempre stati convinti che fosse stata un’azione violenta a causarne la morte, e un testimone oculare, un suo compagno di cella, ha dato una testimonianza che ha spinto la procura di Viterbo a riaprire le indagini, questa volta sotto l’ipotesi di omicidio volontario.
Già in corso c'era un procedimento per omicidio colposo sostenuto contro diversi funzionari carcerari, ma ora la situazione si complica. L’avvocato Nicola Triusciuoglio, rappresentante della famiglia di Di Nino, ha intenzione di chiedere la sospensione del processo in corso in vista dell'apertura di questo nuovo fascicolo.
I sospetti aumentano: il testimone riferisce di tre agenti penitenziari noti per le loro violenze, che sarebbero entrati nella cella di Andrea dopo una sua richiesta di aiuto. "Questo è morto", avrebbe detto uno degli agenti, confermando i timori già espressi dalla famiglia. Andrea era stato trovato impiccato con un lenzuolo, ma i suoi familiari parlano di omicidio, sottolineando che non avrebbe mai preso una decisione così estrema, specialmente in un momento in cui aveva ricominciato a sperare nel rilascio imminente.
In effetti, l'ipotesi di suicidio appare poco plausibile per diversi motivi. La corporatura di Andrea e la modalità del suo presunto gesto non coincidono con le sue capacità fisiche. Inoltre, poche ore prima della morte, aveva contattato la madre chiedendo di inviarli vestiti nuovi per un’udienza di prossima convocazione riguardo alla concessione dei domiciliari. Sembrava in uno stato d'animo positivo e motivato a ricominciare.
Le versioni dei detenuti parlano di un gruppo di agenti noti come un 'plotone punitivo', che tormentava giornalmente i detenuti considerati 'fastidiosi'. Andrea, che chiedeva frequentemente di poter sentire la madre malata, era diventato uno dei loro obiettivi. Le aggressioni, secondo quanto raccontato, sarebbero avvenute con frequenza e violenza, fino al tragico epilogo del 21 maggio.
La ricostruzione dei momenti prima della sua morte è inquietante. Secondo il testimone, Andrea avrebbe chiesto un accendino al grido di aiuto, solo per vedere arrivare quei tre agenti della 'squadriglia'. Il silenzio che seguì il trambusto era assordante. I detenuti, poi, furono trasferiti in un'altra sezione del penitenziario, mentre le celle venivano oscurate e la verità sull'accaduto rimaneva nascosta nell'ombra.
Questa triste vicenda solleva interrogativi su cosa accada realmente dietro le mura di un carcere e sulla necessità di una maggiore vigilanza e responsabilità. I familiari di Andrea continuano a cercare giustizia mentre le indagini si muovono lentamente. La speranza è che la verità venga finalmente a galla e che le ingiustizie di cui sono vittime molti detenuti non vengano più ignorate.