Sanità in crisi: meno del 50% delle case di comunità attive e una su tre senza medici
2025-01-18
Autore: Chiara
Le case di comunità, pensate per diventare un fondamentale punto di riferimento per i cittadini, dovrebbero garantire assistenza sanitaria continua, sette giorni su sette, grazie alla presenza di medici di famiglia. Queste strutture sono destinate a ridurre il ricorso inappropriato agli ospedali, in particolare al pronto soccorso. Tuttavia, la situazione è ben lontana dall'essere ottimale. Secondo quanto comunicato dal ministro della Salute, Orazio Schillaci, la riorganizzazione della sanità territoriale è cruciale per affrontare l'invecchiamento della popolazione e l'aumento dei malati cronici in Italia. Eppure, con la scadenza di giugno 2026 che si avvicina, i dati parlano chiaro: a giugno 2024 meno della metà delle 1.038 case di comunità previste è attiva, con gravi carenze di personale. Inoltre, in circa 120 di queste strutture non è presente alcun medico, e altre 58 hanno un medico presente per meno di 30 ore settimanali. Queste carenze rischiano di trasformare le case di comunità in "cattedrali nel deserto", incapaci di fornire le prestazioni necessarie.
La questione dei medici di famiglia è centrale. Il ministero della Salute sta valutando la possibilità di trasformare i medici di famiglia, attualmente liberi professionisti convenzionati, in dipendenti pubblici per operare nelle case di comunità. Questa proposta è stata definita "assurda" da Filippo Anelli, presidente della Federazione degli ordini dei medici, e ha scatenato la preoccupazione della Federazione Medici Territoriali, che minaccia dure mobilitazioni se questa direzione dovesse continuare.
Parallelamente, la riforma dell'assistenza agli anziani non autosufficienti, prevista dal Pnrr, ha subito un brusco arresto. Sebbene la legge delega 33/2023 promettesse un cambiamento radicale nel settore, il decreto legislativo 29/2024 è risultato deludente, attuando solo in minima parte le proposte iniziali. Secondo il "Patto per un nuovo welfare per la non autosufficienza", una rete di organizzazioni della società civile, l'approvazione del decreto non ha comportato significativi cambiamenti nel sistema assistenziale italiano, e i servizi domiciliari e residenziali continuano a essere inadeguati.
In Italia, il sistema di assistenza domiciliare per anziani non autosufficienti è ancora frammentario. Attualmente, l'Assistenza domiciliare integrata (Adi) offre una media di sole 16 ore annue di assistenza per ogni anziano, cifra che evidenzia un modello prestazionale piuttosto che un bando per una presa in carico continua. Anche nei servizi residenziali, l'Italia è in ritardo, con un tasso di ricovero nelle strutture per anziani non autosufficienti pari all'1,6%, ben al di sotto della media europea del 3,6%. La necessità di garantire un'intensità assistenziale adeguata, personale qualificato e ambienti sicuri è stata sottolineata dalla legge delega, ma il decreto mancante di strategie concrete ha lasciato molti problemi irrisolti.