
Lo scienziato che studia gli squali: «Ecco perché attaccano l’uomo»
2025-04-07
Autore: Maria
Emilio Sperone, professore associato presso il dipartimento di Biologia, Ecologia e Scienze della Terra dell’Università della Calabria, è in prima linea nella ricerca sugli squali e i loro comportamenti. Ha infatti creato un laboratorio dedicato al monitoraggio dell'inquinamento nel Mar Mediterraneo, dove il suo team studia quattro specie di squalo: gattuccio, boccanera, razza chiodata e chimera. Recenti scoperte hanno rivelato che il 60% degli squali analizzati presenta grandi quantità di microplastiche nel loro stomaco.
Le microplastiche, spiega Sperone, derivano principalmente dalla frammentazione di rifiuti abbandonati lungo le coste e nelle acque. I dati più allarmanti sono stati raccolti in Calabria e Toscana, dove è stata riscontrata anche una significativa presenza di microfibre, in particolare dalla lavorazione del tessile. In aggiunta a questo, il monitoraggio ha evidenziato la presenza di metalli pesanti nei muscoli, nella pelle e nel fegato degli squali analizzati, con particolare rilevanza per l'arsenico, sebbene in concentrazioni inferiori ai limiti consentiti. Tali sostanze inquinanti provengono dallo smaltimento di scarichi industriali e dal lavaggio delle cisterne delle navi.
Sperone descrive gli squali non solo come superpredatori, ma anche come straordinarie sentinelle del mare: «L’inquinamento tende ad accumularsi risalendo le catene alimentari. Gli squali, essendo i predatori apicali, ci offrono una visione chiara del livello di inquinamento nell'ecosistema».
La sua passione per questi magnifici animali è nata durante la visione del celebre film di Steven Spielberg. Dopo la laurea, durante una spedizione in Sudafrica, ha avuto l’opportunità di conoscere Leonard Compagno, uno dei massimi esperti di squali al mondo, spalla dell’autore del film. Ma non lasciatevi ingannare dalla fama di pericolosità degli squali: «Non sono affatto attratti dalla carne umana», afferma Sperone. «In tutto il mondo, ci sono solo quaranta o cinquanta attacchi all’anno, e le morti sono estremamente rare. Nel 2024, per esempio, ci sono stati solo quattro decessi legati a attacchi, tra cui quello sfortunato di un italiano in Egitto».
Sperone chiarisce anche i motivi che possono portare un squalo ad attaccare un essere umano. «Ci sono tre principali motivazioni: la fame, in particolare per squali come il tigre o lo Zambesi; l’inganno provocato da odori, rumori o sagome sospette in acqua; e infine, la sensazione di sentirsi minacciati». La ricerca di Sperone non solo cambia la nostra comprensione degli squali, ma getta anche nuova luce sull'impatto devastante dell'inquinamento nei nostri oceani.
Lavorare per proteggere questi superpredatori e il loro habitat è essenziale per la salute degli ecosistemi marini.