Le proteste in Serbia: tre mesi di lotta contro la corruzione e la repressione
2025-01-24
Autore: Alessandra
Le proteste in Serbia continuano senza sosta da quasi tre mesi, toccando un punto cruciale nei giorni scorsi. Lunedì 20 gennaio, mentre molte scuole avrebbero dovuto riprendere le lezioni post-natalizie, in realtà molti docenti hanno scelto di scioperare in segno di solidarietà verso le manifestazioni studentesche, amplificate dopo la tragedia avvenuta il 1° novembre con il crollo di una tettoia a Novi Sad, che ha causato 15 vittime. Questo tragico evento ha scatenato un'ondata di indignazione, denunciando la corruzione silenziosa e dilagante sotto il regime del presidente Aleksandar Vučić e del Partito Progressista Serbo (SNS), al potere dal 2012.
Le manifestazioni, iniziate in università, si sono espanse in diverse categorie professionali, coinvolgendo anche avvocati e lavoratori del settore energetico. Il 22 dicembre, Belgrado ha visto la più grande manifestazione, con oltre 29.000 partecipanti. Lo slogan “Avete le mani insanguinate” è diventato un simbolo di protesta, con molti manifestanti che si dipingono le mani di rosso per evidenziare la loro frustrazione.
Sotto il governo Vučić, il dissenso viene minimizzato: il primo ministro Miloš Vučević ha dichiarato che nelle scuole non ci sarebbero stati problemi, ma i sindacati contestano questo dato, affermando che almeno il 50% degli istituti ha risentito dello sciopero, soprattutto dopo le minacce di ispezioni e multe.
Le richieste dei manifestanti non si limitano al cambiamento di governo, bensì mirano a sfidare la corruzione radicata e a ristabilire istituzioni funzionanti. Come riportato da attivisti, il governo ha cercato di mettere a tacere i dissidenti, ma con scarsi risultati. Infatti, durante una recente manifestazione davanti alla sede della TV pubblica RTS, decine di migliaia di persone hanno accusato il governo di manipolare le informazioni riguardanti le proteste.
Il silenzio, un potentissimo simbolo di protesta, viene praticato durante le manifestazioni per onorare le vittime di Novi Sad. Si sviluppano blocchi stradali e sit-in quotidiani, nonostante la repressione sulla libertà di parola. I manifestanti dimostrano di utilizzare in modo efficace i social media, riuscendo a bypassare il controllo statale sulle comunicazioni e a coinvolgere anche le fasce più adulte della popolazione.
Le autorità hanno adottato misure di intimidazione: annunciando dettagli personali dei coordinatori delle proteste e convocando studenti per colloqui che si sono rivelati più simili a interrogatori. Alcuni studenti hanno riportato che i loro telefoni sono stati confiscati e infiltrati da spyware. Questo clima di paura è alimentato dalla retorica governativa, che include accuse di estremismo e agitazione sovversiva.
Il montante clima di violenza culmina in incidenti gravi, come l'aggressione di uno studente il 22 novembre, investito da un veicolo durante una manifestazione. Le parole del presidente Vučić, che ha minimizzato l'accaduto, sono state interpretate come un incoraggiamento all'uso della violenza contro i manifestanti.
Queste proteste rappresentano non solo un moto di ribellione contro la corruzione, ma un grido disperato per un futuro migliore. In un paese dove parole come "stato" e "governo" si confondono, il bisogno di responsabilità e trasparenza è più forte che mai. Questo è solo l'inizio di una lotta che mira a restituire dignità e responsabilità alle istituzioni serbe.