
La sindrome dell’ultimo chilometro: l'incidente di Brignone attraverso le neuroscienze
2025-04-07
Autore: Matteo
Dopo un lungo e faticoso lavoro, la tentazione di mollare la presa può diventare opprimente. Sebbene tu sia quasi arrivato, mantenere alta la concentrazione è fondamentale, ma stanchezza e consapevolezza spesso non collaborano. È in questo contesto che si colloca l'infortunio di Federica Brignone. Cosa si nasconde dietro un incidente avvenuto al culmine di una stagione straordinaria e densa di impegni? Semplice sfortuna? A meno di dieci mesi dai Giochi Olimpici di Milano-Cortina, dove la possibilità di coronare una carriera di successo sembrava a portata di mano, la campionessa è costretta ora a ricominciare da zero, ricostruendo il suo corpo.
Un infortunio serio: una porta che colpisce il braccio ha causato fratture multiple al piatto tibiale e al perone e la rottura del legamento crociato. Questo incidente ha toccato uno dei punti anatomici più cruciali, quello dove la velocità si trasforma in cambi di direzione, portando a una ferita sia fisica che psicologica.
Molti si sono chiesti se fosse necessario gareggiare nei campionati nazionali in Val di Fassa. Brignone è certa della sua scelta: “Sì, volevo esserci. Era il momento più felice.” Tuttavia, ciò non può nascondere la verità; si stava anche uscendo da una fase di stress estremo. Quanto possono influenzare la fatica e quel sottile inganno della mente che porta a abbassare il livello di attenzione? Si parla di una vera e propria sindrome dell'ultimo chilometro, quella fase finale di una competizione o di una stagione, in cui l'atleta, avvicinandosi al traguardo, riduce inavvertitamente la propria vigilanza. Questo fenomeno accade non solo nello sport, ma anche nella vita di tutti i giorni.
Tra i casi più noti c'è Usain Bolt, che nella sua ultima gara ufficiale, la staffetta 4x100 ai Mondiali di Londra 2017, ha subito un infortunio muscolare. Alcuni hanno interpretato la sua caduta come un calo di tensione emotiva e fisica. Anche Nigel Mansell, che vinse il Campionato del Mondo di Formula 1 nel 1992, subì un infortunio in una gara di kart minore, probabilmente per la mancanza di pressione. In Italia, Deborah Compagnoni si infortunò gravemente nel 1992 ai Giochi Olimpici di Albertville, subito dopo aver vinto l'oro nel superG. Un incidente legato a sovraccarico e pressione.
Molti fattori suggeriscono che questa sindrome meriti attenzione. È una tendenza psicologica importante da riconoscere. In un contesto lavorativo, può accadere di abbassare la guardia al termine di un progetto, minacciando il suo successo. Anche in ambito sportivo, il falso senso di sicurezza può indurre a trascurare le ultime fasi, che risultano spesso cruciali. Anche nel mondo dell'alpinismo, troppi incidenti sono legati a questa mancanza di attenzione nelle fasi conclusive.
Studiare la sindrome dell'ultimo chilometro ha portato a sviluppare vari modelli teorici. Sebbene non sia un concetto formalmente codificato, si collega a discipline come psicologia, fisiologia e neuroscienze. Esistono modelli come il carico cumulativo, che analizza la fatica fisica e mentale, o l'affaticamento neuromuscolare, che esamina come il corpo stanco possa ridurre la coordinazione e la reazione.
Un altro modello interessante è quello del declino della vigilanza, il quale suggerisce che la capacità di mantenere alta l'attenzione diminuisce con la durata dell'attività. Infine, il concetto di distrazione cognitiva enfatizza l'importanza delle pause rigenerative e il riconoscimento del falso senso di sicurezza.
Questi modelli possono aiutare a prevenire infortuni e ottimizzare la gestione dell'impegno quotidiano. È chiaro, se le fasi di recupero sono scarse, la tensione verso la performance cresce, aumentando i rischi. La questione è strettamente correlata al fenomeno dell'iper-calendarizzazione nelle competizioni moderne. Impegni incessanti mettono a dura prova atleti, mente e corpo. Calcio, atletica e tennis sono solo alcuni sport nei quali il riposo sembra un miraggio.
Le conseguenze fisiche e psicologiche sono enormi. Il tempo necessario per recuperare viene meno, aumentando il rischio di infortuni. Inoltre, la pressione mentale cresce e la necessità di prestare la massima attenzione genera stress e affaticamento. Gli atleti di alto livello sono costretti a mantenere performance elevate per periodi prolungati, trascurando lo sviluppo delle loro basi.
L'incidente di Federica Brignone è un richiamo ad una riflessione importante sull'equilibrio tra impegno e recupero, sia nello sport che nella vita quotidiana. È fondamentale imparare a dire di no e a vedere le pause come momenti di crescita anziché perdita di tempo. Chissà, forse questa pausa forzata, apparentemente un ostacolo, potrebbe rivelarsi invece un'opportunità per ricostruire le basi su cui accelerare verso nuovi traguardi.