
La crisi dell’economia culturale e la scomparsa del buon gusto
2025-04-04
Autore: Marco
Di recente, ho partecipato a discussioni sui temi più disparati, incluso l'argomento dell'intelligenza artificiale. Durante una di queste conversazioni, qualcuno ha affermato che l'unica persona che non deve temere di essere sostituita dall'IA sono io, dato che, se le viene chiesto di scrivere 'alla Soncini', l'IA collassa. Tuttavia, non avevo il tempo di sentirmi lusingata, poiché un altro interlocutore ha fatto notare che il problema non era tanto se l'intelligenza artificiale scrivesse bene, quanto piuttosto se gli editori avessero smesso di considerare la scrittura umana come un valore, vista l'apprezzabilità della prosa generata dalla macchina.
Questa riflessione è tornata alla mente mentre leggevo un articolo del New York Times dal titolo "The Gen X Career Meltdown", che mette in luce l'improvvisa obsolescenza delle carriere dei nati tra la metà degli anni '60 e la fine dei '70. L'articolo affronta un tema scottante: i cambiamenti nell'industria culturale e come questa abbia subito un tracollo, soprattutto a causa della rapidità con cui cambiamenti sociali e tecnologici hanno ristrutturato il mondo del lavoro.
Un ex fotografo di Condé Nast ha fatto notare che oggi un giovane può scattare foto per somme irrisorie rispetto ai grandi compensi che un professionista richiedeva dieci anni fa, suggerendo che le abitudini del pubblico nel consumare contenuti siano cambiate radicalmente. Come mai, ci chiediamo, il pubblico non riesce più a distinguere un contenuto di qualità da un'opera mediocre? Questo porta alla riflessione che la contrazione dell'economia culturale sia alimentata non soltanto da nuovi strumenti, ma anche dalla scomparsa del buono gusto.
Molti professionisti affermano di aver notato un cambiamento nei criteri di assunzione: le agenzie ora tendono a preferire influencer privi di un background formativo adeguato. Nonostante i tentativi di associare il valore alle competenze, il disinteresse del pubblico sembra favorire personaggi che si ergono tramite il clamore delle loro apparizioni social.
Ricordando un amico che vent'anni fa ha perso un lavoro da cui non c'era modo di recuperare, mi chiedo: cosa accadrà a chi oggi si trova nella stessa posizione, senza alcuna garanzia per un futuro pensionistico? Le storie di coloro che si trovano in difficoltà economica si moltiplicano, e menziono casi di giornalisti che, nonostante avessero una carriera illustri, si vedono ridotti a chiedere prestiti a causa della crisi del settore.
Un interessante sviluppo è la crescente disparità di compenso: le influencer possono chiedere somme astronomiche per apparire a eventi rispetto a quanto guadagnano i giornalisti. Questo porta a chiedersi, chi stabilisce il valore di un lavoro culturale? E perché dovremmo considerarlo meno dignitoso rispetto a lavori manuali?
Del resto, nel panorama attuale, i professionisti della comunicazione si trovano a competere con figure che sfruttano il loro carisma sui social media senza alcuna formazione tecnica. L'essere stati abituati a uno stile di vita privilegiato ha reso difficile per molti adattarsi a questa nuova economia.
La mia discussione sull'intelligenza artificiale è ritornata nel mio pensiero quando un amico ha utilizzato un software per generare un articolo 'alla Soncini', e a sorpresa mi ha fatto notare che, seppure ci fossero margini di miglioramento, il risultato era quasi indistinguibile dal mio. Questa somiglianza ha sollevato questioni esistenziali su ciò che rende autentica la scrittura e ciò che conta realmente.
Infine, l’immagine di una cultura che evolve, oppure si estingue, in un contesto dove l’arte e il talento sono messi da parte a favore del sensazionalismo, non può non far riflettere. Qual è il futuro della nostra cultura se continuiamo su questa traiettoria? È fondamentale riaccendere il dibattito sull’importanza dell’educazione al gusto e della valorizzazione del sapere e della competenza.