Il grido di aiuto di una mamma: "Mio figlio rischia la vita, deve essere curato dalla scabbia!"
2025-01-25
Autore: Maria
GALATINA (LECCE) – "Mio figlio rischio la vita. Ha contratto la scabbia in carcere e non riceve le cure necessarie". Questo è il disperato appello di Agnese, una giovane madre di Galatina, che da mesi vive nell'angoscia per le condizioni di salute del suo bambino. "Mio figlio ha 30 anni e sta scontando la sua pena, ed è giusto che lo faccia", ma le sofferenze che sta affrontando sono inaccettabili.
"Non dorme da mesi e soffre tantissimo. È disumano che una persona, anche se detenuta, debba vivere in queste condizioni". Agnese racconta che il figlio è stato rinchiuso nel carcere di Lecce fino al 7 agosto 2024, periodo durante il quale ha iniziato a mostrare i primi segnali di malessere: "All'inizio dell'estate ha cominciato ad avvertire un prurito intenso, accompagnato da eruzioni cutanee che si sono diffuse rapidamente su tutto il corpo".
Dopo il 7 agosto, il giovane è stato trasferito nel carcere di Bari, dove la situazione è peggiorata drasticamente. "La diagnosi di scabbia è arrivata solo alla fine di dicembre" – spiega Agnese – "quando mio figlio è stato spostato nell’istituto penitenziario di Potenza, ma in tutto questo tempo non ha ricevuto alcun trattamento efficace".
La madre è in preda alla rabbia e alla frustrazione: "Ho contattato vari medici, ma mi sento impotente poiché mio figlio non sta seguendo una terapia adeguata. Vorrei tanto far entrare un medico in carcere per una visita approfondita, per capire come sta realmente. Non riceve le medicine necessarie e le terapie opportune; è come se la sua vita fosse in secondo piano".
Questo caso solleva interrogativi sulla salute dei detenuti in Italia e sulle responsabilità di chi gestisce il sistema penitenziario. La scabbia è una malattia contagiosa, ma facilmente trattabile se diagnosticata in tempo. È fondamentale che tutte le persone, indipendentemente dalla loro condizione, abbiano accesso a cure mediche appropriate. Agnese continua a battere i pugni e a lanciare il suo appello: "Non possiamo permettere che il dolore di mio figlio venga ignorato. È tempo di un cambio radicale nel trattamento dei detenuti e delle loro esigenze sanitarie!".