
Cosa sta realmente accadendo in Bosnia e Serbia? I Balcani sull'orlo di un nuovo conflitto!
2025-03-14
Autore: Alessandra
La Bosnia Erzegovina sta affrontando la crisi più grave dalla fine del conflitto degli anni '90, e quotidianamente aumenta il rischio di un collasso istituzionale. Negli ultimi tempi, la tensione tra la Republika Srpska (RS) – una delle due entità che compongono il paese – e il governo centrale ha raggiunto un punto di rottura, specialmente dopo la condanna a un anno di carcere del leader serbo-bosniaco Milorad Dodik, accusato di aver minato l'ordine costituzionale. Le autorità della RS hanno reagito con fermezza, respingendo il verdetto e ordinando il ritiro delle forze di polizia di Stato dal territorio a maggioranza etnica serba.
Questa escalation ha spinto la comunità internazionale a rafforzare le forze di peacekeeping, ma la crisi è in continua evoluzione, lasciando sempre più spazio a scenari inquietanti. Le dinamiche geopolitiche globali complicano ulteriormente il quadro: mentre Russia e Ungheria sostengono Dodik, l'Unione Europea si oppone fermamente alle sue azioni. Con l'incognita del supporto degli Stati Uniti sotto l'amministrazione Trump, si profila un nuovo gioco di potere che rischia di avere conseguenze devastanti non solo per la Bosnia, ma per l'intera regione dei Balcani.
Il cuore del problema è l'accordo di Dayton del 1995, che, sebbene abbia posto fine alla guerra, ha creato una paralisi politica cronica. La Repubblica Srpska ha frequentemente sfidato il governo centrale, e le recenti mosse di Dodik verso una maggiore autonomia o addirittura una secessione portano la Bosnia a un momento critico. Se le autorità cercheranno di fermarlo, il rischio di un’escalation violenta sarà reale, con effetti potenzialmente devastanti.
A questo si aggiunge una nuova ondata di proteste in Serbia, senza precedenti. Dopo la tragedia del crollo di una pensilina a Novi Sad che ha causato 15 vittime, il malcontento popolare si è trasformato in un movimento globale contro la cattiva gestione e la corruzione del governo di Aleksandar Vučić. Studenti, agricoltori e cittadini comuni, uniti in una lotta trasversale senza leader né bandiere politiche, stanno chiedendo un cambiamento radicale.
Nelle proteste serbe, una delle questioni più controverse è legata alla speculazione immobiliare, che ha trasformato Belgrado e negli anni è diventata simbolo di corruzione. Sebbene il governo cerchi di sminuire l'importanza delle manifestazioni, il movimento si sta ampliando, portando a galla un profondo malcontento che potrebbe ridisegnare il panorama politico della Serbia.
Sia in Bosnia che in Serbia, la situazione è così tesa da farli paragonare a una “polveriera” pronta a esplodere. Giorgio Fruscione, esperto di politica balcanica, sottolinea che le recenti azioni di Dodik potrebbero indicare un tentativo di secessione della Republika Srpska, un progetto che, sebbene non sia possibile legalmente, potrebbe avere delle basi pratiche solide.
Le relazioni tra Dodik e Putin sono una realtà che non può essere ignorata, essendo Dodik uno dei pochi leader europei ad aver incontrato il presidente russo più volte dal 2014 a oggi. Questo legame rafforza l'idea che le politiche locali possano venire influenzate da attori esterni, con conseguenze dirette sulla stabilità della regione.
Le pressioni esterne, unite alla disobbedienza interna, rendono la situazione estremamente fragile. In risposta, la NATO e l'Unione Europea stanno intensificando la loro presenza militare per prevenire eventuali violenze. La missione EUFOR è stata recentemente potenziata per far fronte a un possibile deterioramento delle condizioni.
In Serbia, il movimento di protesta vede una mobilitazione mai vista dalla nascita del governo Vučić nel 2012. La crescita della protesta è significativa e potrebbe rappresentare una svolta nel panorama politico serbo, specialmente in vista dei grandi raduni previsti per i prossimi giorni.
La situazione in entrambi i paesi è tesa e i segnali di possibile violenza sono tangibili. Monitorare questi eventi con attenzione è cruciale, poiché il rischio di una nuova ondata di conflitto nei Balcani è tutt'altro che un'ipotesi remota.