Cecilia Sala, l'ex ambasciatore a Teheran: «Liberarla è un processo complesso, ma non conviene all'Iran il contenzioso»
2025-01-02
Autore: Maria
«Non ho mai avuto l'opportunità di visitare il carcere di Evin, dove è detenuta Cecilia Sala, ma è indubbiamente un carcere duro, sebbene non il più difficile in Iran». A dichiararlo è Mauro Conciatori, ex ambasciatore italiano a Teheran dal 2014 al 2019.
I legami tra Italia e Iran sono storicamente solidi. Come si spiega allora questo arresto? «Probabilmente a causa della frattura politica che attualmente esiste a Teheran. Fin dagli anni Cinquanta, grazie a figure come Enrico Mattei e continuando con la Repubblica Islamica, i rapporti sono stati forti. Ci sono stati momenti di eccellenza, come ai tempi di Andreotti e Prodi, che da presidente dell'Unione Europea ha avviato un dialogo per un accordo, seguito poi da Renzi».
Ma perché ora questa svolta? «La nostra politica estera è influenzata da interessi nazionali e compatibilità internazionali. Quando ci sono momenti di distensione, le relazioni prosperano; altrimenti, le compatibilità diventano rilevanti. Con il ritorno delle sanzioni unilaterali da parte dell'amministrazione Trump nel 2017, l'Iran è diventato meno interessante per le imprese occidentali, che temono di perdere il mercato americano. E questo lo sanno anche gli iraniani».
L'arresto di Sala, quindi, potrebbe essere legato a tensioni interne? «Sì, l'Iran è un paese molto frammentato. La decisione finale è spesso il risultato di un delicato bilanciamento tra le forze interne. Anche l'assenza di un capo d'accusa specifico indica che la situazione è fluida. L'accusa di “violazione delle leggi islamiche” è piuttosto generica e, sebbene lo spionaggio sia una reale preoccupazione in Iran, a volte le accuse possono essere utilizzate strumentalmente».
La mancata consegna degli oggetti richiesti da Sala potrebbe essere segno di disaccordi interni? «Sì, ci sono due fazioni: una vede l'opportunità di trarre vantaggio, mentre l'altra considera l'affare un potenziale rischio. Questo confronto interno potrebbe portare a un dialogo. Attualmente, l'Iran sta vivendo una grave crisi economica e geopolitica».
L'arresto può essere interpretato come una strategia per ottenere vantaggi? «Sì, potrebbe essere un tentativo per rafforzare posizioni interne in un contesto di dibattito acceso».
Che peso ha l'arresto dell'ingegnere svizzero-iraniano Abedini sul caso? «L'Italia sta rispettando il diritto internazionale e potrebbe esserci un legame tra le due situazioni. Ci sono possibilità che emergano negoziati segreti. Oggi l'Italia è l'unico grande paese europeo con una stabilità politica significativa, il che potrebbe facilitare le trattative».
È strano che non si sia saputo nulla al momento dell'arresto? «Non mi sorprende. L'uso di canali riservati è strategico per evitare interferenze che possano rendere la situazione più complicata. Meno la questione diventa pubblica, più si ha la possibilità di trovare una soluzione».
L'opposizione è comunque disponibile a collaborare con il governo: può questo aiutare? «Evitare di esercitare pressione eccessiva non può che giovare».
Scommetterebbe su un lieto fine per il caso Sala? «Su queste questioni è meglio non fare pronostici. Speriamo bene, ma la situazione potrebbe richiedere tempo. Conoscendo i tempi decisionali iraniani, temo che si tratterà di un processo lungo e complesso».
Con la crescente tensione in Iran, esplosioni di dissenso popolare e un contesto geopolitico in mutamento, il caso di Cecilia Sala potrebbe avere ripercussioni a lungo termine non solo per il rapporto tra Italia e Iran, ma anche per l'assetto regionale in Medio Oriente.